Pasturana, puntoacapo, 2023
La copertina della silloge. |
Titolo: Nella fine
Autore: Francesco Filia
Editore: puntoacapo
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 62
Collana: Ancilia, diretta da Giancarlo Pontiggia
ISBN: 9788866793854
Ci sono versi che ti scavano dentro senza scampo. Nella fine di Francesco Filia è quei versi.
Non perché si parla della fine, ma perché si parla a un passo dalla fine. E in quella terra di nessuno (esistiamo ancora, ma per quanto tempo esattamente e in quali modi ce ne andremo, non sappiamo) scorre tutto il pregresso; la traversata che ci ha condotti fin qui e ci ha reso coloro che siamo; il viaggio che, lungo la disillusione, ci ha fornito l'approdo della Resa, dato che – cito l'autore – "la fine ci abita e ci costituisce in ogni aspetto": noi finiremo, aggravati dal "tremendo privilegio di saperlo, il dramma che ci costituisce è tutto qui."[1]
Chiave di lettura della silloge fornita dall'autore stesso, dunque. Il quale appunta l'Ineluttabile attraverso la magnificenza di versi privi di ridondanza, crudi, spietati, caustici, su cui a volte le allitterazioni focalizzano la propria attenzione:
I passi sprofondano nella sabbia.
La superficie scabra di un tronco tra le dune.
Ascolto il sacro nel suono secco della risacca.[2]
In due poesie si cita esplicitamente quel risiedere "nella fine", di cui dobbiamo farci una ragione per due motivi: "mai saremo infinito" e "l'esperienza della fine ci è preclusa":
E poi non puoi vivere senza ogni volta morire.
Hai cercato parole facili per dire
quel che facile è, ma difficile da dire.
Semplice invece è lo sguardo del silenzio.
Siamo solo nella fine.
Mai saremo infinito. Siamo soli nella fine.[3]
In un riverbero aguzzo, puro, attraverso
una piazza al sole, interminabile e assoluta
come potrebbe essere la mia morte senza nome.
Costruiamo spazi vuoti, dove ci sentiamo
finalmente disumani. L'esperienza della fine ci è preclusa,
ogni pietra infuoca e respinge,
vivere nella fine è quel che rimane.
Un tratto di penna sul muro noi siamo,
nella quiete che non dura, nell'ombra che non cura.
Mai così precisa come oggi accade ogni cosa.[4]
Ecco quindi che, fra la crudeltà del metterci a parte del fatto che la vita verrà stroncata senza comunicarci però né il quando né il come e l'altrettanta crudeltà di farci attraversare il guado privi di ogni consapevolezza, si scioglie il nostro canto caduco che a volte disperatamente tenta di risalire:
E poi esiste il due, l'altro che ti fa quel che sei.
[…] Qualcosa
che ancora riesce a stupirti.[5]
Ci baciamo sotto le stelle,
nel più scontato dei luoghi comuni,
e va bene così, tutto sembra vero per una volta.[6]
O che tenta l'affidarsi a quello stesso guado, con un'inconsapevolezza che diviene proiezione consapevole verso un dopo in cui l'assenza di luce è tremenda serenità:
È bello sorridere. La curva del viso che s'inarca
tra labbra e guancia. Dolcemente sottomesso
all'invisibile potere delle ore. Sembrerà un giorno di festa,
senza preoccuparmi dell'attimo che dovrebbe salvare,
ma essere già in un dopo senza luce:
sereno, tremendo.[7]
O che - un'ultima volta - tenta di rassicurarsi, non perché un appiglio salvifico compaia, quanto piuttosto perché "tutto è già accaduto".[8]
Francesco Filia vive a Napoli, dov’è nato nel 1973. Insegna filosofia e storia in un liceo cittadino. Si interessa prevalentemente di filosofia, poesia e critica letteraria. Sue poesie e note critiche sono presenti in numerose riviste e antologie. Ha pubblicato i poemi Il margine di una città (Il Laboratorio, 2008); La neve (Fara, 2012); La zona rossa (Il Laboratorio, 2015); la plaquette L’inizio rimasto (Il laboratorio, 2017), le raccolte Parole per la resa (CartaCanta, 2017) e L’ora stabilita (Fara, 2019) e il libro di saggi critici Corpo a corpo (Fara, 2020).
[1] Francesco Filia, Nella fine, Pasturana, puntoacapo, 2023, p. 59.
[2] Ibidem, p. 39.
[3] Ibidem, p. 36.
[4] Ibidem, p. 42.
[5] Ibidem, p. 54.
[6] Ibidem, p. 44.
[7] Ibidem, p. 48.
[8] Ibidem, p. 55.
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