25 settembre 2022
Occasione di quest'intervista è stata la mostra “I FEKETE TRE GENERAZIONI DI SCULTORI EUROPEI A CONFRONTO. Dall’Ungheria alla terra briantea”, organizzata dall'Istituto per la Storia dell'Arte Lombarda (ISAL)
Lei ha un'eredità importante, non solo perché le due generazioni che l'hanno preceduta (nonno e zio) sono artisti e scultori, ma anche perché hanno vissuto e operato in un ambiente storico-politico-sociale che ha subito una profondità di cambiamenti. Come si pone nei confronti di tutto ciò?
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Un particolare della statua del tenente Colombo con il suo cane, di Fekete Géza Dezső, collocata in una via di Budapest. |
Mi piace adottare una lettura dei cambiamenti storici che viaggi parallela al cambiamento dell'artista come singolo. Solo alla fine dell'ultimo secolo si sono sciolte certe imposizioni del regime, quindi io non mi pongo in collegamento con questa realtà, ma opero in una situazione di libertà personale, in cui posso sperimentare la completezza. Mia nonna dipingeva e insegnava storia dell'arte, ma non poteva esprimersi con la scultura, perché era preclusa alle donne. Nell'ambiente dell'arte, chi si ama si trova. Mio zio ha avuto una moglie che condivideva la sua arte pittorica e scultorea; così come succede fra mia moglie e me. Per coloro che sono attivi nell'arte è più facile vivere una vita assieme, conciliare gli impegni, trovare spazi comuni: condividere, insomma.
Quale ruolo ha giocato l'ambiente di artisti nei quali è vissuto nella sua scelta di diventare scultore?
L'ambiente in cui si cresce è fondamentale: io e mio fratello siamo nati e vissuti in una casa piena di sculture. A volte chiedo ai miei studenti: "Quante case visitate di amici, parenti, conoscenti?" La risposta è: "Tante." Poi chiedo: "E quante di queste case sono piene di sculture?" Poche, è ovvio; addirittura pochissime.
Qual è la sua visione di scultura?
L'artista si trova a maturare una sensibilità che lo porta a riflettere sul mondo da un'angolazione particolare. Il mio modo diverso di concepire l'arte contemporanea, di intendere la scultura come figurazione, potrebbe porre le mie opere come un richiamo a quella ricerca italiana sulla figurazione, ora superata. Al di là della forma, del messaggio, è cambiata anche la mentalità dei fruitori della scultura: si pensa che quella rubi spazio. Che non è del tutto vero: ci sono opere che hanno le dimensioni di un vaso di fiori. Inoltre è cambiato proprio l'interesse culturale. Ho lavorato molto con la galleria di Ada Zunino e ho vissuto la coda di chi ci teneva a porsi davanti a un'opera e a riflettere, ad avere contatti con l'artista per discutere di ciò che aveva di fronte. Oggi ci sono altre forme di produzione artistica: quella che coinvolge la tecnologia ad esempio.
Si tratta di contaminazioni che tocchiamo con mano anche in altri campi artistici: la musica, la danza…
La danza e la musica sono campi artistici che hanno comunque mantenuto un'identità del passato. Se vuoi imparare la musica, ad esempio, vai al conservatorio e ti viene insegnata in modo classico. La scultura non ha avuto questa forza. Oggi in accademia si ragiona sull'idea e si fa meno scultura. Ada Zunino esponeva ciò che le piaceva e sosteneva che si sarebbe parlato dell'aspetto economico dopo, cioè se si fosse fatto avanti qualcuno interessato alle opere esposte. Insomma: la gallerista non sacrificava il proprio piacere per il guadagno. La portata di questa scelta è evidente.
Quale ruolo riveste oggi l'insegnamento nel campo dell'arte in generale e della scultura in particolare?
La scuola non è quello che ti insegnano, ma quello che vuoi imparare tu, perché è fatta dagli studenti e non dagli insegnanti. Studenti che hanno una loro storia variegata, prodotto della famiglia, del vissuto, delle compagnie che frequentano eccetera: forti tutto questo si pongono di fronte agli insegnamenti che ricevono. Le accademie oggi si sono differenziate: se vuoi fare figurativo, non vai a Brera ma a Torino o a Firenze, perché a Milano si ragiona per concetti, si gravita maggiormente attorno all'intellettualità rispetto al fare pratico.
La scultura è un lavoro complicato, sporco, che ha bisogno di spazio. Facciamo un esempio. Nella mostra “I FEKETE TRE GENERAZIONI DI SCULTORI EUROPEI A CONFRONTO. Dall’Ungheria alla terra briantea” allestita presso ISAL sono esposti 35 pezzi: perché ci stiano in uno studio, questo deve essere ampio. Per la pittura bastano spazi ridotti perché i quadri li puoi anche conservare uno accanto all'altro. Scolpire significa necessariamente avere un laboratorio: non puoi creare con la terracotta con il gesso in camera!
La scuola dove insegno è stata aperta, tranne le prime settimane, anche nel periodo del lockdown da coronavirus [2021 n.d.a.] con una percentuale di studenti in presenza rapportata allo spazio disponibile. Quindi la metà degli studenti era in aula e l'altra metà, in DAD [didattica a distanza n.d.a.], eseguiva disegni preparatori. Era un modo di garantire una certa continuità e di non spezzare un legame. Oggigiorno si tende a individualizzare tutto. La pandemia ha allontanato le parti, ad esempio la famiglia dove gli incontri conviviali sono ormai pochi. La tecnologia prima del coronavirus ha fatto la sua parte. Certo, la tecnologia in sé non ha particolari "colpe": dipende da come ci si pone di fronte a quel mondo, fantastico per molti versi. La tecnologia, oltre a isolarci, ci può rendere banali: pensiamo alle stampanti 3D con le quali si riproduce la copia fedele di una persona. Stento a riconoscerla come arte, quella, perché non è in tal modo che si tocca la profondità dei sentimenti.
La sua produzione è, per soggetti, varia, anche se mi pare prevalga l'interesse per l'universo femminile. Ciò che mi affascina è la rappresentazione della bellezza, della quale lei esalta la sensualità priva di un qualsiasi cenno volgare: fortemente presente ma interessata a una leggerezza che pone chi guarda in un atteggiamento quasi reverente. Una sensualità finalizzata non a un comportamento "estrattivo" bensì "generativo" nel senso ampio che a quest'ultimo termine dà il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, mutuando entrambi gli aggettivi dal volume di Ugo Mattei e Alessandra Quarta, Punto di svolta. Ecologia, tecnologia e diritto privato. Dal capitale ai beni comuni.
Nel 2019, voluta proprio dal vescovo di Pinerolo, ho realizzato una mostra dal titolo “Elogio della bellezza” presso il museo diocesano, per sfatare una certa concezione che si ha del nudo. Il corpo nudo (femminile, ma non solo) è un veicolo che ci racconta. Inoltre il tema della famiglia (molto presente nella mia produzione) passa spesso attraverso la nudità. È un tema legato al vissuto. Ho due figli e inizio a dar significato a certi segnali d'arresto: prima lavori per la tua persona, poi passi il testimone e lavori per i figli. La famiglia ti fa crescere in un'altra direzione senza blocchi intellettuali. È una cosa bellissima che ti appartiene e che racconti. Non possiamo sempre pensare di essere concentrati su noi stessi!
Il concetto di ciclo nella sua produzione artistica.
La mia produzione nasce con i cicli e lavorare in questo modo, pur essendo assai impegnativo, mi è di stimolo, anche in vista di un'ipotetica mostra. Utilizzo una tematica (educande, monache, Salomè) e do un taglio. Il ciclo di Salomè consta di sette opere, di cui cinque sono esposte nella mostra presso ISAL. Si tratta di diversi stati, di diversi momenti: è la donna stessa nella sua completezza, è l'universo femminile. Il ciclo delle Grazie è sì un rimando al classico, ma mi dà modo di esprimermi liberamente al di là della tradizione. Le monache sono un ciclo di dodici teste: prima le creo tutte e poi le abbino con qualcos'altro perché voglio che lo spettatore entri in un contesto studiato. Una delle monache ha un seno nudo semplicemente perché è una parte del corpo ed è in tale stato perché, ad esempio, in quel momento la veste è caduta. Significa essere donna in tutta la sua completezza.
Restiamo in tema di cicli. Quello intitolato Origine (al quale sono collegati molti disegni sullo stesso tema) possiamo considerarlo come la "dichiarazione programmatica" di una vita impostata sul concetto "generativo" in senso lato, di cui abbiamo parlato prima?
Sì. Oggi il concetto di famiglia è politicizzato, quindi bisogna porre attenzione quando si parla. La famiglia è all'origine, è la vita. Rispetto alla coppia (sposata o meno) la famiglia arriva cronologicamente dopo. Con il primo figlio mi sono reso conto di aver creato un piccolo nucleo familiare, ma è con il secondo che il concetto di famiglia si è completato e sono cambiate le dinamiche. Come dicevo prima, non sei più concentrato solo su te stesso.
In Origine 2 c'è un medaglione in cui è scolpito un cane, simbolo di fedeltà. Amo le medaglie e in quelle di grandi dimensioni di cui si compongono alcune mie opere utilizzo i voti dei figli perché mi piace inserire una parte della mia vita.
Dal bozzetto alla statua: muta la sua spinta emozionale? Se sì, come (perde qualcosa, si arricchisce di qualcosa, rimane intatta)?
Si arricchisce. È difficile che perda perché ti viene sempre in mente qualcosa che vuoi inserire. La spinta iniziale occorre imprimerla subito nel bozzetto (o anche nel disegno) perché magari la gestazione è lunga e il primo stimolo creativo è passato, ma l'impressione che vuoi comunicare dev'essere mantenuta alta. Per la musica è diverso perché ha una forza maggiore e ti arriva subito, a differenza della scultura che, per "parlare" richiede la partecipazione di chi guarda. La forza immediata della musica la provo spesso su di me. Ascolto la radio mentre lavoro e, se una canzone che a me non piace la mandano in onda tre o quattro volte al giorno, mi ritrovo a canticchiarla mio malgrado perché ha colpito il cervello. L'opera d'arte (scultura, ma anche pittura) la devi guardare e deve trasmetterti qualcosa: se non succede, puoi capirla con la testa, ma non ti sta comunicando quel qualcosa che va oltre l'intelletto e che pesca nel tuo profondo. Il "chi è chi" dell'artista e il "chi è chi" dello spettatore devono entrare in contatto: è solo così che l'opera funziona. Purtroppo oggi è sempre più necessario utilizzare la parola per spiegare l'arte contemporanea.
La collocazione della statua in una via, parco, cortile o interno di edificio eccetera non è mero atto conclusivo, ma riveste il valore di una contestualizzazione che è dialogo con l'ambiente ospitante. Quando si tratta di una commessa, quale ruolo gioca il fondamentale apporto del "sapere professionale" dell'artista? In altre parole: quanto viene "ascoltato" l'artista? In altre parole: quanto viene "ascoltato" l'artista?
Viene ascoltato sempre meno. Arturo Martini affermava che "la scultura è lingua morta"! La committenza entra sempre più nel merito nel giudizio. È molto interessante studiare la collocazione delle sculture. Innanzitutto devi conoscere il luogo deputato e poi utilizzare la tua competenza tecnica per accontentare come puoi la committenza. Che a volte ti blocca. Pensiamo anche alla medaglistica. Parti da una fotografia per realizzare una medaglia, ma il committente vuole - facciamo un esempio - un occhio in un certo modo, anche se non corrisponde allo scatto. Del resto l'abilità dell'artista è sapersi relazionare, è trovare un dialogo e conciliare il proprio piacere di esprimersi con la soddisfazione del cliente.
La sua passione per l'arte delle medaglie.
Ho mutuato la professione di medaglista da mio nonno e da mio zio, poi sono stato portato in un laboratorio di carpenteria che mi ha aperto ad altre possibilità tecniche.
Questa professione va a morire. Un tempo la medaglia si usava come portachiavi, fermacarte, oggetto da scrivania eccetera. Oggi non più. Pensiamo anche alle medaglie sportive. Sono fatte di zama su cui viene incollato un adesivo: in questo modo si spende di meno e a tutti i partecipanti si dà il riconoscimento. Chi fa medaglie oggi, deve inventarsi anche altro per campare.
Genesi e curiosità sulla statua del tenente Colombo di suo zio Fekete Géza Dezső, che è collocata a Budapest, in via Falk Miksa all’angolo di Szent István, körút.
Non c'è certezza, ma pare che uno dei genitori di Peter Falk - l'attore che ha portato al successo il noto personaggio del tenente Coolombo - sia ungherese. Il comune di Budapest ha indetto un concorso pubblico e mio zio ha partecipato con un bozzetto in gesso (pettinato: voleva mettere la giuria nelle condizioni di constatare il prodotto finito) e l'ha vinto. La statua collocata in città è una fusione a cera persa. Budapest ha inserito molte sculture nel tessuto urbano: è una Vienna più in grande.
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